C’è un momento, nella vita di uno sportivo, in cui smetti di pensare a te stesso come individuo e inizi a sentire la squadra come una parte del tuo cuore.
Il Brasile, per me, è stato proprio questo.
Durante il Campionato Sudamericano per Club, in Bolivia, il Presidente del Macaé Sports, una squadra carioca, mi chiese se avessi voluto unirmi a loro.
Non fu una scelta ragionata.
Fu istinto. Fu cuore. Fu dire sì a una porta che si apriva davanti a me — anche se, in realtà, il momento non era affatto perfetto.
Stavo frequentando il quinto anno delle scuole superiori e la proposta arrivò a metà dell’anno scolastico. Accettare significava utilizzare tutte le assenze, perdere l’anno e poterlo recuperare solo sostenendo un esame finale per ogni materia al mio rientro.
E in totale le materie erano 13.
Fu lì che presi la prima decisione controcorrente della mia vita.
Una di quelle scelte che dall’esterno possono sembrare folli, ma che dentro senti chiarissime.
Fu il momento in cui iniziai a costruire il mio futuro oltre i canoni del conosciuto, oltre ciò che ci si aspettava da me.